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Elena Alexandrova: «Cerchiamo l’interruttore giusto per spegnere una proteina e agire sulla crescita del tumore ovarico»

Elena, russa, sposata e con due figli adolescenti, da tempo si dedica al tumore ovarico, il più difficile da diagnosticare. Sta cercando il meccanismo per bloccarne la crescita e ci dice: «Noi ricercatori, oltre che col tumore, lottiamo contro la mancanza di soldi e la burocrazia»

Come immaginiamo i ricercatori? Facile pensarli come studiosi che vivono nel loro mondo, geni un po’ pazzoidi. Spesso persone che, rinchiuse nei laboratori, si dedicano a uno studio fine a se stesso, magari anche un po’ eroiche perché scelgono di rinunciare a una vita privata per amore del microscopio. Ecco, Elena Alexandrova, con la sua storia, ci aiuta a rivedere i nostri schemi mentali sui ricercatori e sul “loro” mondo, che poi è anche il nostro.

Elena ha “già” 37 anni, è sposata (il marito Andrey è un fisico nucleare), ha due gemelli adolescenti (Kirill e Ksenia di 13 anni) ed è venuta a lavorare in Italia dalla Russia. Già, è inusuale che un ricercatore aspiri all’Italia, che abbia una vita di coppia, quindi qualcuno che capisca i tuoi tempi e i tuoi stress, e ancora più difficile che abbia dei figli. Eppure, è così: «I bambini sono nati quando avevo 24 anni, ero appena laureata in Matematica e Fisica Applicata. Quando hanno compiuto due anni e mezzo ho iniziato un corso di Dottorato a Mosca e nel frattempo mio marito Andrey ha accettato una proposta di lavoro a Napoli. Così io sono rimasta da sola a Mosca».

Elena per due anni e mezzo si occupa dei bambini e inizia a lavorare partecipando a un Dottorato di Ricerca in Biologia Molecolare, grazie a un professore che conosce il suo talento e comprende le sue esigenze del momento. E mentre i gemelli crescono, lei completa il Dottorato e si trasferisce in Italia, dove consegue un Master in Genomica e Bioinformatica presso l’Università di Salerno e frequenta per le sue ricerche il Laboratorio di Medicina Molecolare e Genomica di quell’Ateneo. Negli anni seguenti, grazie a contratti di ricerca, prosegue le sue attività scientifiche nello stesso Laboratorio e nello spin-off Genomix4life. Lì studia i processi molecolari che caratterizzano i tumori della mammella e dell’ovaio, alla ricerca di terapie più efficaci contro queste malattie. Si occupa anche di Bioinformatica, una nuova disciplina scientifica per lo studio del genoma che le permette di sfruttare le sue conoscenze di matematica, biologia e informatica. Non possiamo non fare un respiro profondo innanzitutto per capire cosa fa esattamente, e poi per essere grati a donne come lei, che riescono a portare avanti il progetto della maternità e nel frattempo realizzarsi negli studi e nella ricerca. «Lo devo prima di tutto ai miei genitori, che mi hanno aiutato a perseguire le mie aspirazioni e a mio marito, che mi supporta e aiuta ad affrontare le tante difficoltà del lavoro di ricercatrice e mamma. E poi ai docenti e ricercatori che ho incontrato nel corso della mia carriera sia in Russia, durante la mia formazione iniziale, che qui a Salerno». Ma indubbiamente lo deve anche a se stessa, alla sua tenacia e determinazione. «Quando i bambini hanno compiuto quattro anni, ho partecipato a un concorso per un Master di II livello presso l’Università degli Studi di Salerno, che ho vinto nonostante fossi straniera e ci fossero molti candidati italiani. Questo successo è stato determinante per permettermi di venire in Italia e quindi iniziare qui la mia carriera scientifica».

La famiglia si stabilisce a Salerno e mentre i bambini iniziano l’avventura della scuola materna, dell’italiano e di un nuovo ambiente, Elena inizia l’avventura nel mondo della ricerca italiana. «In Russia il lavoro dei ricercatori è pagato molto meno che in Italia. Qui, in confronto, ho trovato condizioni migliori». Anche se, in verità, non è facile la vita dei professionisti come lei: «Hai pochi anni di tempo per crearti un nome, una professionalità: come giovane ricercatore, per ottenere finanziamenti che sostengano te e la tua ricerca devi avere meno di 40 anni, e in quei pochi anni a disposizione devi quindi lavorare sodo per ottenere risultati, pubblicarli su riviste scientifiche ed imparare a concepire e sviluppare in autonomia progetti di ricerca, compreso procurarsi i finanziamenti necessari. Per questo devi essere intelligente, efficiente e veloce, più di chi, da qualche altra parte nel mondo, sta lavorando sulla stessa tematica competendo con te. Tutto ciò è appassionante, ma anche faticoso e spesso stressante, perché la ricerca è una continua competizione prima con te stessa, per fare sempre meglio, e poi con i tuoi colleghi ricercatori, che il più delle volte non conosci neppure ma sai che lavorano spesso con risorse e in condizioni migliori delle tue».

Adesso Elena sta seguendo un progetto di ricerca sul tumore ovarico finanziato da Fondazione Umberto Veronesi presso il Laboratorio di Medicina Molecolare e Genomica del Dipartimento di Medicina dell’Università degli Studi di Salerno. «Ho sempre voluto lavorare sul cancro, capire cosa succede alla cellula cancerogena e come utilizzare questa conoscenza per combattere la malattia. Negli ultimi anni mi sono dedicata soprattutto al tumore della mammella e dell’ovaio. Le mie ricerche hanno contribuito alla recente scoperta che una proteina della cellula, chiamata DOT1L, svolge un ruolo chiave in alcune tipologie di questi tumori, dove controlla l’attività di geni coinvolti nella crescita cellulare. Se bloccata, causa la morte della cellula tumorale.

In alcune forme di leucemia, dove DOT1L rappresenta un bersaglio terapeutico promettente, sono già in fase avanzata di studio clinico farmaci che inibiscono l’attività di questa proteina e si stanno dimostrando efficaci. La nostra scoperta suggerisce che questi stessi farmaci funzionano anche su alcune forme di tumore della mammella e dell’ovaio, e ci siamo arrivati studiando i processi che determinano la crescita incontrollata della cellula tumorale. La ricerca di una cura contro qualsiasi malattia richiede, infatti, che prima si comprendano i meccanismi molecolari e cellulari che la causano». Ecco allora spiegato il contributo di Elena in quanto biologa ed esperta di genomica. «Nessuna ricerca è fine a se stessa e tutti noi ricercatori lavoriamo su tematiche che hanno una ricaduta pratica e concreta sulla vita delle persone. Proprio per questo abbiamo bisogno del sostegno morale e materiale di tutti per poter affrontare con entusiasmo la fatica e il sacrificio che il nostro lavoro richiede».

Ora forse ci è più facile intuire la complessità del mondo della ricerca. Mentre la cosa forse più difficile da capire è come questo mondo, che ci sembra voli così alto, sia poi alle prese con questioni molto più spicciole e “terrene” di quanto pensiamo. «Il vero problema dei ricercatori in biomedicina sono i materiali che ci permettono di fare il nostro lavoro, che sono molto costosi. Bisogna prevedere in largo anticipo cosa e quanto servirà per ogni singolo esperimento, procurarselo per tempo e utilizzarne lo stretto necessario, perché se venisse a mancare, per esaurimento o insufficienza di fondi ad esempio, diventerebbe impossibile proseguire gli esperimenti e il lavoro si fermerebbe inesorabilmente». Insomma, è tutto un gioco di bilanciamento, di lotta contro il tempo, di analisi di costi e corretta programmazione. Ma non pensavamo che i ricercatori vivessero in una specie di torre d’avorio? E che il loro lavoro quasi si alimentasse da solo? Forse sarebbe stato meglio continuare a pensarli così, per non doverci confrontare con una realtà che si rivela assai brutale, dove non ci sono talento, intelligenza e umanità che possano risplendere se mancano i fondi per sostenerli.

Barbara Rachetti, giornalista di Donna Moderna e Disability Manager