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Francesca Reggiani: «I nuovi farmaci trasformeranno le cellule del sistema immunitario in killer del tumore»

Da anni studia il cancro al seno. Il suo obiettivo è risvegliare cellule dormienti del sistema immunitario, “armandole” per farle penetrare nel tumore e distruggerlo. Una nuova frontiera per sviluppare i farmaci epigenetici, cioè capaci di rimodulare il codice genetico di queste cellule, con l’obiettivo di rendere la chemioterapia più leggera

Non tutti coloro che curano possono fare i medici. Per fare il medico ci vuole quel qualcosa che fa la differenza. Che non è un qualcosa “in più”, ma qualcosa di diverso: è volere e saper parlare con i pazienti, aver a che fare direttamente con la vita delle persone. «Non invidio i medici, non mi metterei mai al loro posto e non potrei mai farlo». Eppure Francesca Reggiani maneggia e “mastica” tumori e diagnosi infauste da anni. Anche lei entra nelle vite delle persone e può segnarle. Anche lei fa la sua parte nel curare, anzi: proviamo a rovesciare la prospettiva e a guardare a chi fa ricerca con occhi nuovi, come al primo anello di una catena che in fondo trova il medico e il paziente ma che all’inizio ha proprio loro, i ricercatori. Moltissimi sono donne, che dedicano se stesse al laboratorio. Lì, tra le macchine e gli apparecchi, combattono anche loro contro il cancro. Ma allora qual è la prima linea? «Una domanda senza senso e senza risposta perché in questa trincea ci siamo tutti, ognuno con il proprio ruolo e il proprio posto».

Francesca oggi ha 34 anni e lavora da tempo sul tumore al seno. Si è laureata in Biotecnologie Animali a Bologna per poi vincere il dottorato di ricerca a Milano, dove è rimasta cinque anni. Qui si è “fatta le ossa” per poi spiccare il volo, cioè proporre un progetto tutto suo che ora segue all’ospedale AUSL-IRCCS di Reggio Emilia, la sua città, dove è potuta tornare. A Reggio ci sono la sua famiglia d’origine e il suo compagno, ingegnere, con cui ha ristrutturato da poco una casa, dopo anni di studio e lavoro fuori: a Vienna, dove ha seguito il tirocinio di laurea, poi a Londra, dove ha lavorato per una casa farmaceutica, infine a Milano.

Ora Fondazione Umberto Veronesi finanzia il suo progetto di ricerca sul tumore al seno triplo-negativo. Certo il nome suona ancora più brutto e sinistro di quello di altri tumori: che voglia dire pericoloso al cubo? Negativo perché se mai in un tumore ci fosse qualcosa di positivo, in questo caso ce ne sarà ancora meno? «In effetti questo tipo di carcinoma è molto aggressivo e dà ancora oggi un’elevata mortalità» spiega Francesca. «Colpisce circa il 20 per cento delle donne con tumore al seno e non risponde facilmente alla chemioterapia. Si chiama in realtà così perché le sue cellule sono “negative”, cioè mancano di tre tipi di recettori, tra cui i recettori per gli estrogeni e per il progesterone. Ma in compenso sono prolifiche perché danno vita spesso a metastasi, infauste nella maggior parte dei casi». Facile pensare che studiare un tumore così diventi una specie di missione. Francesca sta lavorando all’interno del laboratorio di ricerca traslazionale, un laboratorio cioè dove ciascun ricercatore segue uno o più progetti su diversi tipi di tumore. La concentrazione e la dedizione sono totali e il suo contributo si inserisce nel filone dell’immunoterapia, lo sviluppo cioè di nuove strategie mirate ad attivare il sistema immunitario dei pazienti contro il tumore.

«L’obiettivo è stimolare l’attività di alcune cellule del sistema immunitario, le natural killer (NK), attraverso l’utilizzo di farmaci specifici, detti epigenetici. Le NK si trovano nei tessuti e nel sangue e sono tra le prime cellule a entrare in azione quando per esempio il corpo arriva a contatto con un parassita, un virus o un batterio. Le NK fanno parte della nostra risposta innata alle infezioni a servono a preservare la salute dell’intero organismo, come i linfociti, che tutti conosciamo. Ma a differenza di essi, hanno uno spettro di azione più ampio grazie a speciali recettori sulla loro superficie che riconoscono le molecole anomale del tumore e possono provocarne la morte. Sono cellule, quindi, molto flessibili e dal grande potenziale. Il problema è che sono poche e spesso sono in uno stato di “dormienza”. La sfida è risvegliarle e aumentarne la capacità di penetrare nel tessuto tumorale per distruggerlo». L’obiettivo di Francesca è ambizioso. «Il mio studio vuole dimostrare come i farmaci epigenetici possano riattivare le NK agendo sul loro codice genetico. Una volta dimostrato, si potranno usare in abbinamento alla chemioterapia, per esempio per renderla meno aggressiva».

Certo la ricerca percorre strade non facili da capire né da vedere. Ma non si tratta di un altro mondo: è anche il nostro, dove noi per primi siamo chiamati a impegnarci con la prevenzione. «Io stessa sono rimasta ostaggio della superficialità e della scarsa conoscenza. Ho fatto la prima ecografia al seno a 30 anni, quando occorrerebbe pensarci già a 20. Non è prematuro, anzi! Noi donne affrontiamo il primo step della prevenzione con l’inizio della vita sessuale, andando dal ginecologo. E questo è sacrosanto, ma l’apparato sessuale comprende anche il seno. Perché di questo non ci occupiamo? Perché pensiamo che quei controlli vadano posticipati? Ho visto tante donne ammalarsi e morire anche in giovanissima età, quando una semplice ecografia magari avrebbe aiutato a prendere in anticipo la malattia». Una cosa però va detta: se tutte noi dobbiamo iniziare a pensare al nostro seno, anche i ginecologi, questo primo fronte della prevenzione “consapevole”, dovrebbero farsene carico.

Barbara Rachetti, giornalista di Donna Moderna e Disability Manager