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Rosanna Nicolò: «Il tumore è una parentesi e noi possiamo tornare a una vita normale»

La menopausa forzata a 35 anni per Rosanna è stata più sconvolgente del cancro. L’intervento, le cure, la paura lasciano spazio al desiderio di normalità, dove la sessualità ha un posto importante, difficile però da ritrovare perché tutto cambia. Anche la scoperta di poter correre 10 km in un’ora fa parte del nuovo cammino: un nuovo futuro da vivere insieme alle Pink Ambassador di Fondazione Umberto Veronesi

È preferibile avere il “patentino” del tumore, come un tatuaggio dipinto addosso, o meglio custodirlo tutto dentro, come un segreto tra te e la vita? E si affrontano meglio le domande degli altri con un foulard in testa, che dichiari al mondo che stai facendo la chemioterapia, o magari meglio che non si veda nulla, che il tumore sia una cosa solo tua? Oggi, in fondo, grazie alla parrucca spesso si può scegliere. Non che questo renda il tutto più sopportabile, ma sicuramente consola e dà una parvenza di normalità a ciò che di normale non ha nulla.

Ma per Rosanna è stato diverso. Avrebbe forse preferito dichiarare al mondo il suo tumore al seno, senza tabu né pregiudizi, perché per lei il vero macigno non è stato quella diagnosi - pur terribile - di carcinoma infiltrante, ma la terapia ormonale che - di routine in casi come il suo - le è stata proposta. «Scoprire di dover andare all’improvviso in menopausa a 35 anni, per evitare di “nutrire” di ormoni il mio tumore, ha cancellato tutto il resto. È stato come un uragano che in un lampo ha buttato giù tutto quello che avevo di più bello: il mio matrimonio felice, il sogno di vedermi mamma, la gioia della sessualità, lo sguardo di mio marito su di me. Ed è rimasta in piedi una cosa sola, come la palma risparmiata dalla tempesta: quella palma ero io, deprivata, menomata, avvizzita, messa all’angolo, già perdente. In quegli istanti terribili io mi vedevo solo così. E così, in quel deserto improvviso di sentimenti e dolcezza, nel momento stesso in cui l’oncologa me la dava, si è annacquata la notizia vera, quella del tumore».

Quel giorno del 2019 Rosanna sente senza ascoltare e va a casa, sola, con un macigno gigante nel cuore. Erano passate poche settimane da quando suo marito Maurizio, a un semplice tocco, aveva sentito qualcosa di strano su un seno e l’aveva spinta a prendere appuntamento per un’ecografia. «Io misi la testa sotto al cuscino, non volevo vedere né sapere, anche perché dieci anni prima avevo avuto un piccolo nodulo benigno sull’altro seno». Piccole cose, come le briciole di Pollicino, che intanto però avevano scavato un sentiero di paure dentro di lei. Il pressing del marito è efficace: la porta a prenotare un controllo. E da lì inizia tutto quanto. Ma per Rosanna il vero, enorme peso da sopportare non è il “solito” percorso dell’intervento, e poi l’espansore per fare posto alla protesi futura, e infine il drenaggio. Per lei, che aveva posticipato la gravidanza in attesa di un contratto di lavoro più stabile, che si era costruita la sua professione di dietista con fatica e sacrificio, lasciando la Basilicata per trasferirsi a Roma a 19 anni, la vera beffa è la menopausa indotta. «Avevamo accantonato il progetto della gravidanza aspettando il momento giusto, e adesso che le cose stavano ingranando, il mio orologio biologico viene all’improvviso portato avanti, con un click, una pastiglia. Come rassegnarmi a rinunciare alla sessualità, a sentirmi desiderabile, a vedermi riflessa negli occhi di mio marito? Ero troppo giovane per mettere in stand by il mio essere donna, addormentare quella parte di me così importante, quell’intimità naturale e spontanea che si crea quando ci si ama e che per me era fondamentale».

Le sue paure sono tante, e sono spesso inconfessabili per una donna che affronta questo percorso. «Difficile condividerle anche con mia sorella, o con un’amica: la paura di non essere più me stessa, di provare dolore, di non essere più desiderabile, di non sentirmi più a mio agio, di non vedermi più femminile». Eppure queste paure sono le stesse di tante pazienti che vivono il trauma della menopausa “chimica”: cicli addormentati all’improvviso, rimandati a un tempo che si dilata - in genere cinque anni - ma che poi è legato all’andamento della malattia e a quella parte di imponderabile che nessuno, neanche i medici, possono gestire. Un tempo cronologico, ma soprattutto della mente.

Nel frattempo, il desiderio di normalità reclama energie e dedizione anche da parte della coppia. La coppia non viene messa a riposo con una pastiglia ma vive e pulsa insieme alle visite, ai controlli, agli appuntamenti e alla ripresa del lavoro, che Rosanna cerca di affrettare il più possibile dopo l’operazione. «C’è tutta una parte della routine che vuoi riconquistare e che appartiene solo a te e al partner, ma che fai fatica a spartire coi medici. Però anche quella donna lì sei tu, nella tua intimità, e vorresti tornare a essere come eri, come ti sentivi, libera e sensuale, ma i farmaci te lo impediscono. E subentrano la secchezza, il dolore fisico, la rigidità. Tutte controindicazioni, effetti collaterali della terapia ormonale che come dei mattoncini rischiano di costruire un muro tra te e il tuo compagno». Per evitare di non comunicare, di non sfiorarsi più, ognuno nei suoi pensieri, Rosanna decide di parlare subito col marito delle paure legate alla sfera dell’intimità e insieme le affrontano, ridimensionandole. Così trova il coraggio di esporle anche all’oncologa del Regina Elena, dove viene operata, che la aiuta con prodotti specifici. «La paura di avere male, però, resta. Rimani incatenata in una specie di gabbia, in un corpo che in parte è come se non ti appartenesse più, e lo spazio delle tue disinibizioni, magari conquistato a fatica, torna a essere occupato dalla paura e dalla tensione».

Dopo l’operazione, comunque, Rosanna - d’accordo con Maurizio - accetta di sottoporsi alla crioconservazione degli ovuli, nonostante in genere venga proposta alle donne che devono seguire la chemioterapia, proprio perché il materiale ovarico rischia di danneggiarsi. «Nel mio caso, vista l’età, i medici mi hanno consigliato di mettere da parte gli ovuli proprio per affrettare i tempi di una gravidanza, un domani, quando potrei già avere più di 40 anni». Insomma, per dare una mano alla natura una volta in cui, terminati i cinque anni di menopausa, il sistema ormonale viene risvegliato dal suo sonno. Intanto Rosanna di sonno non vuole sentir parlare. Proprio per contrastare l’inerzia forzata delle sue cellule, decide di candidarsi come Pink Ambassador di Fondazione Umberto Veronesi per il team di Roma, progetto scoperto su Facebook. E da non aver mai corso mezzo chilometro, ora ne fa 10 in un’ora, insieme alle altre 12 donne come lei. «Voglio dimostrare a me stessa, prima che agli altri, che questa è una parentesi, che posso tornare a una vita normale, che il tumore non può strapparci noi stesse». Scopre così che la sua storia ne lambisce tante altre, e che le donne con cui inizia ad allenarsi possono diventare amiche che capiscono, sostengono, condividono - loro sì - le paure, le ritrosie, i pensieri più intimi, senza giudicare, senza sminuire, senza far passare il desiderio di essere femminile per un dettaglio di fronte all’enormità della malattia e all’ombra sinistra che getta sulla tua vita. «Non è dettaglio, è la nostra essenza, che va difesa e anche preservata. Con l’informazione e soprattutto con gli esami di prevenzione, anche da giovani, senza paura di scoprire quello che nessuna di noi vorrebbe mai venire a sapere». Perché se di coraggio si parla, forse è proprio quello di sapere chi sei e accettarti ora, adesso, con quello che ti sta succedendo.

Barbara Rachetti, giornalista di Donna Moderna e Disability Manager